In un interessante intervista riportata su Repubblica.it, a firma di Claudia Carucci, la Professoressa Bianca Maria Piraccini ci illustra come il Coronavirus può portare alla caduta dei capelli e ai rimedi da mettere in atto per fermarla e recuperare la propria chioma.
SUBDOLO nemico della vita, della salute, della socialità, della prosperità, della serenità, della progettualità. E, a quanto pare, anche della nostra chioma. Il coronavirus, che da mesi devasta a più riprese e in mille ambiti le esistenze di tutti, quando non attacca in versione mortale l’apparato respiratorio delle persone, ma riesce comunque a raggiungerle, sceglie di colpirle in qualche altro modo. Toglie loro gusto e olfatto, fiacca i muscoli, sollecita emicranie e, in molti casi, incentiva la perdita dei capelli.
“Più del 30% delle persone che contraggono l’infezione da Covid-19 riporta una copiosa caduta di capelli. Sul piano psicologico. questo aggrava le conseguenze del Coronavirus” spiega la professoressa Bianca Maria Piraccini, direttrice della Scuola di Specializzazione di Dermatologia e Venereologia dell’Università degli studi di Bologna. Insieme ad altri esperti, prende parte al 94esimo Congresso SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse) articolato in versione digitale su tre giornate, dal 3 al 6 novembre.
Otto sale virtuali e più di 330 relazioni e sessioni “on demand”, consultabili anche a fine lavori. Numerose le patologie trattate durante la convention: da quelle croniche e tumorali a quelle lievi e temporanee, da qualche tempo e in qualche caso dovute alle conseguenze della pandemia da Coronavirus.
Con la professoressa Piraccini vediamo dunque in che misura il virus può aggredire i nostri capelli e come affrontare la situazione nel caso in cui si verifichi il fenomeno della caduta in conseguenza al contagio.
In quale momento dall’inizio dell’emergenza è stato evidenziato questo effetto collaterale del virus?
“Dal mese di aprile in poi, tanti scienziati esperti di capelli di tutto il mondo hanno iniziato e visitare pazienti che riportavano la comparsa di una importante caduta di capelli, insorta dopo 1-3 mesi dall’infezione da COVID-19. Da allora la Dermatologia dell’Università di Bologna è capofila mondiale della raccolta dei casi di caduta di capelli post-COVID per studiarne prevalenza, cause, cure e evoluzione”.
Chi sono i soggetti che possono incorrere in questa problematica? Uomini, donne, giovani, anziani?
“E’ difficile stimare una prevalenza esatta, perché i pazienti che cercano cure per la caduta dei capelli post-virale sono quelli più giovani e sani fra coloro che hanno contratto l’infezione. Gli anziani con diverse comorbidità non hanno probabilmente una simile percezione e gestione del problema dei capelli. Quindi visitiamo solitamente adulti (40-60 anni), di entrambi i sessi”.
Di che tipo di “caduta” stiamo parlando? Ciocche, tutti i capelli, assottigliamento dei medesimi?
“La caduta di capelli post-COVID è un telogen effluvium acuto di notevole entità. E’ una caduta eccessiva di capelli che si nota al lavaggio, con la spazzolatura, e anche semplicemente passando la mano fra i capelli durante il giorno. Possono cadere fino a 200-300 capelli al giorno, con la radice telogen, quindi a fine ciclo di crescita. Quando la caduta è importante si associa anche una riduzione della chioma, con massa dei capelli ridotta e minore copertura della testa”.
Il danno è reversibile?
“Si. La caduta dei capelli post-COVID si ferma lentamente nel tempo, con ricrescita completa dei capelli. Bisogna pero considerare 2 fattori: 1) i capelli crescono a una velocità di circa 1 cm al mese, per cui ci vogliono mesi per recuperare del tutto la massa globale della chioma. 2) nelle persone affette da diradamento dei capelli dovuto a alopecia androgenetica, o calvizie, che costituiscono circa il 50% della popolazione adulta di entrambi i sessi, la caduta dei capelli post-virale induce spesso aggravamento del diradamento dei capelli”.
Accade a tutti coloro che sono stati contagiati?
“No. Di nuovo, è difficile una stima realistica di prevalenza perchè non stiamo seguendo a tappeto tutto i pazienti contagiati per monitorare nel tempo chi sviluppa la caduta dei capelli e chi no. Noi visitiamo solo i pazienti che notano il problema e cercano rimedio. Si stima comunque che la comparsa della caduta dei capelli dopo l’infezione interessi il 30-40% delle persone”.
Quali rimedi nell’immediato?
“L’applicazione di corticosteroidi sul cuoio capelluto per un breve periodo (4-6 settimane) può essere utile come prima misura, per bloccare il rilascio di citochine infiammatorie che sono importanti mediatori chimici responsabili della caduta dei capelli. Sono utili anche integratori alimentari specifici per i capelli e lozioni cosmetiche che promuovono la ricrescita. Se il paziente soffre di calvizie, sarà il momento di iniziare o potenziare la cura farmacologica per questo problema”.
Ma perché accade questo fenomeno?
“Esistono 2 forme di caduta di capelli post-COVID: la caduta “immediata” dei capelli, che si osserva durante la fase acuta dell’infezione, quando il paziente è positivo al virus e sintomatico. E’ la forma più rara, e attualmente si ritiene possa essere dovuta a una tossicità diretta del virus sui follicoli piliferi o sui vasi capillari del cuoio capelluto. La forma più frequente è una caduta di capelli “tardiva”, che compare dopo 2-3 mesi dall’infezione, quando il paziente sta bene e non associa la caduta acuta dei capelli al pregresso episodio infettivo. Le cause di questo telogen effluvium acuto sono diverse: la sofferenza sistemica dell’organismo durante l’infezione (febbre alta, ipossia), i farmaci assunti (eparina, antivirali), la perdita di peso e tante altre comorbidità legate al periodo infettivo”.
Il sintomo può aiutare la scienza a comprendere meglio la natura e il comportamento del virus?
“Certamente. Come tutti i segni precoci e tardivi dell’infezione da COVID-19, anche la caduta dei capelli è un importante oggetto di studio per valutare la tossicità del virus e la reazione dei follicoli piliferi all’infezione e ai farmaci utilizzati per trattarla”.
FONTE: repubblica.it